venerdì 17 maggio 2024

It's friday!: poesie inedite di Valentina Bagni























It's friday è una rubrica a cura di Annalisa Ciampalini


 L’inverno custodisce memorie

costruisce gusci intorno ai semi

li protegge dal freddo e li nutre

silenziosamente


L’integrità preservata

darà i suoi frutti in primavera


serve sole, acqua, tempo

terreno gentile

per accendere i colori


Anche io voglio andare verso

ciò che nutre, protegge e riscalda

perché lì

c’è la memoria della fioritura.

*



Alla terra che insegna ad accogliere

al fresco che rinnova la pelle

al buio della notte che elargisce silenzio

alle luci che garantiscono visione

alla riverenza che fa il mandorlo alla terra

al filo d’erba che viene pestato e profuma

alla danza delle api che fa dolce il miele

alla cortesia del vento

nel baciamano delle foglie


mi inchino.

*



Babbo,

insegnami i nomi dei venti

il canto degli uccelli

i punti cardinali

il perdono


andiamo in bosco

ad annusare i funghi

fammi da bussola

mangiamo le more

accarezziamo il faggio


poi torniamo

senza sassi né molliche

senza nessuna fretta

a casa

*



La mia voce ha costruito una culla

dentro i polmoni

per i suoi respiri migliori


a volte accoglie aria muta

a volte canta


quando fa musica

il suono mi accarezza da dentro

e sgombera la paura dell’abbandono

*


Per sopravvivere servono occhi

occhi capaci di osservare

occhi e fiducia

un nero abissale di pupilla che dice

‘anche senza di me tu esisti’

Occhi

per definizione specchi

dove riflettersi e poter dire

‘Eccomi’


Valentina Bagni è una cantautrice toscana e da sempre è appassionata di scrittura. La poesia per lei è lo sguardo con cui esplorare e apprezzare il mistero e la fascinazione del mondo. Nei suoi versi, Valentina tratta temi quali l'amore, la relazione con la natura, la memoria dei defunti, il rapporto tra il visibile e l'invisibile.


giovedì 16 maggio 2024

Piccole sofferenze per grandi amori

recensione di Giancarlo Baroni


La raccolta di Mauro De Maria, pubblicata nel 2024 da MC edizioni nella collana “Gli insetti” diretta da Pasquale Di Palmo, si intitola Piccole sofferenze. Afferma con acutezza e capacità di sintesi il critico Gabrio Vitali nella Prefazione: «D’amore è fatta la poesia di Mauro De Maria, che oggi pone questa sua nuova raccolta alle spalle di una trilogia di raffinati canzonieri amorosi, con la pubblicazione dei quali ha segnato l’ultimo lustro del suo lavoro di costruzione poetica: Beatritz (Book editore, 2017),  Gli orecchini  (Book editore, 2019) e Dal lago del cuore (MC edizioni, 2022). In tutti questi libri, la cifra poetica di De Maria si definisce nella ripresa  - attraverso la lezione contemporanea del Montale de La Bufera e delle Occasioni o, più recente, del Giovanni Giudici di O Beatrice – dei modi e degli stilemi dell’antica poesia d’amore cortese, provenzale e stilnovista, del dodicesimo e tredicesimo secolo».

Scrive l’indimenticabile critico Giuseppe Marchetti nella sua nota a Beatritz: «Una forte radice di cultura poetica nutre, quindi, questo libro compatto». A sua volta il poeta e critico Alberto Bertoni sottolinea che l’autore de Gli orecchini «espone con coraggio la sua predilezione per quel grande stile che appartiene al nucleo più solido della tradizione lirica occidentale». Afferma Pasquale Di Palmo riflettendo su Dal lago del cuore: «È come se De Maria proseguisse nella stesura di un canzoniere amoroso senza fine, con echi montaliani che si riverberano da una raccolta all’altra, affidandosi a una pronuncia delicata e tesa, imperniata intorno a una realtà composita, sublimata da suggestioni colte». Dice lo scrittore Michele Abbati parlando del libro di esordio di De Maria, pubblicato nel 2013 da Book con il titolo Trame e orditi: «i tratti distintivi di questa poesia: un lessico ampio, colto e prezioso». 

Questa nuova raccolta, Piccole sofferenze, conserva la consueta eleganza e ci sorprende per originalità. Sembra che riesca a mettere parzialmente in discussione la compattezza dei quattro volumi che l’hanno preceduta, quasi a sparigliare le tessere di un mosaico poetico dotato di una robusta e solida struttura formale, impeccabile e rigorosa, che predilige la forma chiusa. Le poesie diventano più brevi, il ritmo più mosso franto e agitato, il tono più graffiante; ci sembra di essere di fronte a una possibile svolta che prelude a futuri e inediti sviluppi. E forse potrebbe davvero essere così se non fosse che nella Postilla a fine volume il poeta ci rivela che i testi compresi in Piccole sofferenze risalgono al decennio 1986 – 1996 e quindi precedono di diversi anni quelli già pubblicati. Precisa l’autore: «Da un punto di vista squisitamente editoriale questo appare essere il mio quinto libro di versi, ma potrebbe a buon diritto rivendicare  lo stato d’esordio, ovvero la qualifica di primo». Sarà il futuro a dirci esattamente che strada seguirà la sua poesia la quale, intanto, ci fa capire che le possibilità di cui dispone sono molteplici e che niente può essere dato come assodato e prevedibile. 

Il percorso poetico e sentimentale di Piccole sofferenze segue sentieri tortuosi e impervi prima di raggiungere la sua meta. Un indicatore di questi ostacoli e impedimenti è il frequente uso dell’avverbio di negazione “non”, che tuttavia si dirada nel corso del racconto che oscilla fra accoglienze e separazioni, fra incontri e allontanamenti («La cadenza impeccabile / dei nostri incontri si consumava /  come un rito […]»), fra divisioni e riunificazioni, fra assenze e presenze («[…] una grandiosa / presenza disciolta giorno per giorno / nell’aria da respirare»).

Diffidenze, bugie, screzi, rabbia, ribellioni, rischiano di ridimensionare l’importanza della figura della donna amata, ma nulla possono contro il suo potere magnetico, contro la sua forza attrattiva al contempo fonte di desiderio e generatrice di vita: «[…] dalle tue labbra / schiuse / sgusciò la primavera».

mercoledì 15 maggio 2024

Chiedetelo al vento che passa giovedì 30 maggio 2024 a Lamezia Terme



viene presentata

Giovedì 30 maggio 2024 ore 18:30
Lamezia Terme

Video messaggi di Manu Bazzano e Alessandro Ramberti 

Intervengono Stefania Longo, Subhaga Gaetano Failla, Battista Trapuzzano, Dario Natale e gli studenti della classe IV D del Liceo Scientifico Galileo Galilei



Sgomitolare la gioia di un torrente di montagna

Alessandro Ramberti, Non so resistere, Fara 2024

recensione di Renzo Montagnoli pubblicata su Arteinsieme



La speranza

Strano titolo, e non me ne voglia l’autore se dico che di primo acchito mi ha ricordato la pubblicità di certi prodotti dolciari che attirano oggi tanto i giovani, e anche quelli più in là con l’età. Per fortuna niente di tutto questo, perché si tratta di poesia, notoriamente seria, a parte certi sonetti licenziosi di un lontano passato. Ramberti si avvale dei versi per esprimere il suo innato senso etico, una sua religiosità che non è mai un dramma, ma una gioia dello spirito, pur nelle non infrequenti tragedie dell’esistenza.

Nella nostra dimensione la consapevolezza di essere fallaci, incompleti e spesso erranti alla ricerca di un nostro ruolo ci consente di trovare con la spiritualità una via per sopportarci e per tollerare gli altri, anzi per dialogare con loro lungo un percorso terreno troppo breve per far pieno tesoro delle esperienza maturate (L’imperfezione / è il nostro marchio / di qualità / sì noi tendiamo / ad occultarla / addirittura / ce ne incolpiamo / benché riveli / fragilità / non solo nostre / ci spinge ad essere / riconoscenti / a chi ci ama / per come siamo / umili ammassi / contraddittori). Si potrà obiettare che questa profonda convinzione cristiana è frequente nell’autore, ma in fondo qualsiasi poeta che non si fermi a parlare di fiorellini o di fanciulle desiderose d’amore traspone nei versi l’elaborazione dei suoi pensieri più intimi, quella profondità di concetti, di visioni, di scopi della vita che Ramberti ha fatto propri con una religiosità non di maniera, non di aspetti esteriori, ma di sostanza, una religiosità che dicevo non è drammatica, ma gioiosa, perché animata dalla speranza (Prendimi il petto / fallo discendere / dove le ossa / bruciano-accecano / sei pelle e spirito / tu allora spogliati / in modo ingenuo / entra nel fonte / si aprono i cieli / la mano parla / salva e conferma / unge la carne / converte il tempo / lo fa brillare / libera il suono / della conchiglia).

E non è un caso se ho trovato la stessa determinazione, la medesima passione in un’altra silloge (Pianure d’obbedienza), di Marina Minet, poetessa sulla stessa lunghezza d’onda di Alessandro Ramberti, entrambi permeati da una spiritualità che si eleva oltre il formalismo religioso e che è vissuta giorno per giorno, pregio sempre più raro a trovarsi, travolti come siamo dalle esteriorità impellenti della vita moderna.

Forse corro il rischio di andare fuori tema, se già non ci sono addirittura andato, ma sento pressante la necessità, soprattutto dopo aver letto questi versi, di esprimere non tanto un giudizio sugli stessi (e sarebbe senz’altro positivo, considerata la concretezza della struttura, la sua linearità che evita qualsiasi artificio letterario), quanto invece un’opinione sull’autore perché ciò che Ramberti esprime è la sua vita interiore di ogni giorno, è il suo cuore pulsante che riesce a vedere oltre i limitati orizzonti dei più (Gli occhi si staccano / dal cuore quando / il male è ovunque / nella catastrofe / ma a volte colgono / bagliori intimi / si fanno ciechi / per ascoltare / si gela il sangue / ma giunge in petto / il gran silenzio / in cui ti sciogli / così converti / quello che senti / al congiuntivo / che si fa strada). Credo che questi versi sintetizzino al meglio la mia impressione, versi che sento miei pur ovviamente non avendoli scritti io, ma che fluiscono dentro il mio cuore come un gagliardo torrente di montagna che fra mille ostacoli, senza demordere, procede verso la foce, sicuro di arrivarvi.

"sul fianco del mattino" di Nadia Scappini: una lettura di Lilia Slomp Ferrari

 


Nota critica a cura di Lilia Slomp Ferrari


Con questo piccolo gioiello Nadia Maurizia Scappini ha inteso testimoniare i suoi vent'anni d’impegno poetico, riflesso del profondo amore che da sempre nutre per la parola, espressa sia in poesia sia in prosa. Si tratta di un’antologia che raccoglie il meglio delle sue sette sillogi pubblicate a partire dal 2023, frutto di una selezione rigorosa, con l’aggiunta di sette corposi inediti.

In una nota personale la poeta si definisce “primipara attempata”, avendo iniziato a scrivere dopo i cinquant'anni, anche se la poesia albergava da sempre nella sua anima; ne sono testimonianza alcune piccole prove dell’infanzia e dell’adolescenza dedicate agli affetti più cari. Arduo parlare dello “stravolgimento” di scrittura rispetto al suo modo consueto di porgere i testi al lettore. Illuminante, oltre che dettagliato e ricco di riferimenti culturali, si fa quindi l’intervento esplicativo di Franca Alaimo nella nota “Il ritmo dell’essere insieme” che accompagna la raccolta. Ciò che mi preme dire con forza è l’alto contenuto del messaggio poetico della Scappini - sul quale già mi ero espressa commentando le sue precedenti raccolte - tentando anche d’interpretare le variazioni di punteggiatura, degli a capo, della diversa spaziatura sostitutiva delle strofe, dell’abolizione delle maiuscole, insomma di quella forma visiva che siamo abituati a fotografare nella poesia classica. Forse un modo per esprimere la propria anima in forma nuova, quasi le parole diventassero un lungo respiro nell'incanto del rincorrersi, nei movimenti che vanno a comporre una originale sinfonia. Come per invitare il lettore a sostare nel bianco degli spazi divenuti una silente segnaletica per cogliere il ritmo di un respiro che sale da regioni remote. 


Comunque sia, “sul fianco del mattino” è selezione e sintesi di un lungo percorso poetico che si dipana in una gamma di liriche capaci di abbracciare e indagare le varie sfumature dell’esistere. Di seguito, qualche esempio: da Le parole del cuore (2003) << inventiamoci un inizio che non sia obbligato inventiamolo tu ed io nel silenzio quando spezziamo il bianco pane dello stare insieme.  saranno le giornate polle d’acqua sorgiva mentre la parola lontanando cresce>>. Da La luna nuda (2007) un prezioso attimo di nostalgia <<vorrei che mi tenesse per mano questa assurda nostalgia.  a piedi nudi, tra petali trasparenti solcati da impronunciati perché, scorgere tra le ombre una meta dove posare dopo traguardi confusi nel sonno di dialoghi franti sul marmo di un tempo breve...>>

Nel 2008 Nadia Scappini esce con Il ruvido mistero e nel 2015 con Un’ora perfetta, sillogi bellissime, fondamentali per il suo cammino poetico, seguite nel 2019 da Come dire dell’amore e da preghiere imperfette nel 2022. In queste ultime il tema dell’amore è toccato con rara maestria, senza paura alcuna del denudamento più difficile, quello interiore.

Da preghiere imperfette << s’è fatto breve il tempo tendi la rete sulla mia via   fammi di nuovo abitare la vertigine dove la pazienza scivola in una lingua di fraterno sentire in quegli slarghi che   misteriosamente s’accendono anche su una pagina di poesia   un faccia a faccia che poi respira dentro pausando cammini incerti sofferti>>.

Arriviamo così ai sette “Inediti” che, in coerenza con l’essenzialità che guida l’intera antologia, sono semplicemente numerati. Testi che lasciano stupiti e incantati nella loro apparente semplicità, a partire dall'incipit del primo con il quale, in punta di piedi, mi piace terminare queste riflessioni su un lavoro intenso, coinvolgente, rivelatore discreto di un’anima in tutta la sua delicata complessità: <<faccio sogni da brava ragazza la domenica all'alba e propositi. quasi sempre li faccio attorno all'equinozio    d’autunno    quando    rinfresca, quando la natura ha dato i suoi frutti e comincia a scolorare: è qui che si spalanca il nuovo anno...>>



lunedì 13 maggio 2024

"Carte nel buio" di Michele Nigro


"Carte nel buio" (poesie / 2019-2024), ed. nugae 2.0 - 1a edizione: maggio 2024; prefazione di Carla Malerba, postfazione di Emma Pretti.

disponibile al seguente link:

“Ma è soprattutto la profondità simbolica che caratterizza l’intera raccolta. Nell’autore poesia è bellezza, è amore, è musica, è silenzio, invocazione laica e sobria pazzia; e mentre si dissolvono nella memoria le note di Brassens, evocatrici di un dolce tempo che non torna, i versi di Carte nel buio ci accompagnano pervasi da una sottile malinconia per tutto ciò che vita dà e non restituisce, se non nel ricordo.” (dalla prefazione di Carla Malerba)

“La poesia di Michele Nigro, caratterizzata da componimenti di discreta ampiezza raccolti in sezioni – quasi una scansione in capitoli – non è una poesia narrativa ma è la poesia di un narratore, e non potrebbe essere altrimenti dal momento che Nigro nella sua produzione è anche narratore in prosa dai temi più diversi…” (dalla postfazione di Emma Pretti)

“Carte nel buio, come un’ingenua speranza poetica che avvolta dalle tenebre dell’epoca procede fiduciosa in direzione di luci lontane: che siano stelle o luci artificiali di città future non è dato saperlo; la speranza, tranne quella cristiana, non si basa su certezze di fede. Perché è solo stando al buio che si può intravedere l’uscita sperata, il varco luminoso sulle seconde vite…” (dalla Premessa dell’Autore)

...

Michele Nigro, nato nel 1971 in provincia di Napoli, vive a Battipaglia (Sa) dal 1978. Si diletta nella scrittura di racconti, poesie, brevi saggi, articoli e recensioni per giornali e riviste. Ha diretto la rivista letteraria “Nugae – scritti autografi” fino al 2009. Ha partecipato in passato a numerosi concorsi letterari ed è presente con suoi scritti in antologie e periodici. Nel 2016 è uscita la sua prima raccolta poetica – che ama definire “raccolta di formazione” – intitolata “Nessuno nasce pulito” (edizioni nugae 2.0). Ha pubblicato “Esperimenti”, raccolta di racconti; il mini-saggio “La bistecca di Matrix”; nel 2013 la prima edizione del racconto lungo “Call Center”, nel 2018 la seconda edizione “Call Center – reloaded” e la raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi – materiali di risulta”. Nel 2019, per i tipi delle Edizioni Kolibris, viene pubblicata la raccolta di poesie intitolata “Pomeriggi perduti” (collana di poesia italiana contemporanea “Chiara”), che è anche il nome del suo blog. È del 2020 il volume 2 della raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi”; nel 2021 la terza e ultima silloge dei materiali di risulta, diventati nel frattempo, in linea con il precedente prodotto, “Poesie sospese” (nel 2024 la terza e ultima silloge) distribuite gratuitamente sull’home page del blog “Pomeriggi perduti”. Alcune sue poesie sono state tradotte in portoghese, inglese e spagnolo. Nel 2023 ritorna alla narrativa fantascientifica con il racconto “Anarcometaverso” per l’antologia “Delle eloquenti distopie – vol.2” (Delos Digital). Nel 2024 dà alle stampe la raccolta poetica “Carte nel buio” (ed. nugae 2.0) e il prosimetro “Elegia del confino” (ed. Letterature Indipendenti).

venerdì 10 maggio 2024

Forse un sorriso può salvare “il lordo inutile del mondo”

Filippo Gili, Mai e poi mai, I Quaderni del Battello Ebbro, ottobre 2023 

recensione di AR


Una sagace ironia aleggia in questa raccolta di Filippo Gili, autore e regista teatrale che condensa – in scene  esistenzialmente impegnative ma sempre venate da un sorriso (a volte sardonico, altre malinconico, altre ancora raggiante… più spesso una mistura vibrante di questi aggettivi) – il sapore di una vita e non teme di porsi (e condividere con noi) le questioni che contano. Citiamo ad esempio da Vega, la poesia che apre il libro, un dialogo fra due stelle: “Fa tenerezza… sta cosa che scrivono poesie, / che usano parole, / (…) / Si ritrassero, riavvolgendo il tempo, / (…) / la rimisero dentro il cassetto, / l’aria del mondo, / (…) / e quella meravigliosa idea / di frantumar la verità, / per far due calcoli, / ed evitare, / tutti assieme, / di sparire.”

La condizione umana viene “esposta” nella sua drammatica preziosità. In Fragile tramonto, ad esempio, rivolgendosi a un tu (forse anche soggettivo) Filippo ci dice: “Collezionavi i giorni / non per render formidabile / il tuo nulla. / Ma per ammonticchiare, / fragile tramonto, / un’alba sopra l’altra.”

E ancora, da Breve storia dell’anima: “La tua anima era quella cosa lì, / accanto a quel tubo e a quella grata, / dove il lordo inutile del mondo / si faceva oro, / del tuo esser cieca.” 

I due “mai” del titolo sono quelli in cui si insinua la scintilla fuggente del nostro stare al mondo, un esserci che desidera istintivamente perdurare;  una esistenza carica sì di inquietanti perché, di dolori inesplicabili, di soglie definitive (“Dicevano, / quei tuoi nuovi, / tardivi muscoli, / di non voler lasciare questo mondo. / Non sapendo che quel tuo lasciarci, / era questo mondo.”, p. 40), ma anche di momenti di tragica e assoluta bellezza, come in Dall’alto di una fredda torre: “Si doveva tirare il freno a mano, / far diventare un po‘ più lunga / la foto di quel gusto / il criterio della mia bellezza. /(…) / Ma il tempo, / neanche il gesto di sedermi, / me le spostò di mezzo metro, / quella nebbia, / la mia torre, / e tutte le maestranze / che tentavo di fissare.”

Se per Filippo la vita è un “inciampo” di Dio che ha dato a tutti noi “il palcoscenico per recitar (…) quelle goffe pièces” (p. 57) che sono le nostre effimere esistenze; se il Nostro è esperto ”di trascendenze infrante” (p. 64); non può, fra quei due mai in cui ci è data la parola, del tutto evitare di sognare, di nominare, di ricercare un senso (o di escluderlo) a quella tara dal peso minimo che siamo (si legga Quei pochi anni eterni, p. 71), o di invocare una gioia (p. 74) che non sia timida, o di ritrovare, in un Bianco teschio, “l’ebete vaghezza dell’immensità” (p. 92).

Il libro è costellato di immagini stupende, di quadri in cui ci piace entrare, in cui ci ritroviamo. Così vorremmo essere (p. 106): “Sulla punta del cipresso. / Nel punto in cui / stanco di ripetersi, / s’azzera, / il riverbero del cosmo.”

In fondo Filippo sa che questo “crepaccio fra due mai” (p. 109) è l’unico momento che ci è dato per sperimentare, sia pur con rabbia (p. 113), l’infinito (p. 112), dalla cui spremitura nasce “l’istante / in cui vive il mondo…” (p. 114), dove a ogni generazione è lasciato “stupido e continuo / un ronzio / chiamato eternità” (p. 115).